CONOSCERE E CONOSCERSI PER ESPERIENZA: L’APPROCCIO DEL CONSELING A INDIRIZZO FENOMENOLOGICO ESISTENZIALE NEI SEMINARI DI CRESCITA PERSONALE

conoscere e conoscersi per esperienza

L’approccio fenomenologico-esistenziale, mette al centro dell’attenzione l’esperienza che l’essere umano fa con il mondo e nel mondo, dove per mondo si intende la il mondo della vita fatta di persone, situazione e cose. Mentre l’epistemologia si occupa dei significati convenzionali, la fenomenologia si occupa del senso delle cose. L’esperienza è soggettiva e  non può essere impiantata o trapiantata negli altri. Ognuno di noi ha bisogno di fare le proprie esperienze. Il ruolo del counselor, anche nei seminari di crescita personale è quello di accompagnare il partecipante nella sua esperienza di apprendimento, senza interferire con i propri giudizi o pre- giudizi. L’approccio fenomenologico/esistenziale sottolinea che la conoscenza è soggettiva, basata sul sentire individuale, ossia sulla specificità di ogni sentire e sulla capacità di trasformare il sentire in esperienza, in apprendimento.

Ma, come può costruirsi un processo auto-conoscenza a partire dal sentire  personale?

Il sentire non è verificabile come giusto o sbagliato, è personale. Nell’approccio fenomenologico-esistenziale, il processo di auto-conoscenza si fonda sulla creazione di un contesto affettivo e di formazione in cui counselor  e partecipante sono individui con pari dignità, e partecipano insieme ad un processo di co- costruzione dell’apprendimento, di responsabilizzazione del processo di conoscenza, e, di conseguenza, di trasformazione di sé. E’ prima di tutto la relazione tra counselor e ogni partecipante e le differenze tra di loro che sostengono questo processo trasformativo e di apprendimento, in cui diventa centrale l’empatia, ossia la capacità di essere in contatto con il sentire dell’altro ed al tempo stesso con il proprio sentire, ma senza  confonderli mai e mantenendo il confine della relazione non da intendere come divisione ma come distinzione del sentire

Questo è il presupposto perché il partecipante possa conoscersi, imparare a stare in relazione con se stesso e con gli altri e contemporaneamente sviluppare il suo proprio stile  personale di abitare il mondo con il fine dell’appagamento.

L’esistenzialismo e la fenomenologia, inoltre, guardano all’essere della persona nel tempo, e sottolineano la singolarità e l’originalità dell’esperienza individuale e la responsabilità personale dell’individuo che costruisce il proprio progetto esistenziale e il proprio sapere.

Auto-conoscersi e apprendere un modo appagante di stare in relazione con l’alterità dovrebbe sempre avere come obiettivo comprendere meglio se stesso e gli altri nel proprio contesto di vita per creare modi di convivenza sempre più umani. Questo presuppone che i partecipanti sappiano per che cosa partecipano e i counselor per che cosa conducono e che i seminari vengano vissuti e compresi per quello che sono: una situazione interpersonale e non un centro elaborazione dati. Viene sollecitata la riflessione sul  proprio “volere” e sul proprio “fare”, non nel senso di una riflessione astratta ma di un insieme vissuto costituito di emozioni, valori e posizioni soggettive.

Il counselor esprime le sue potenzialità per essere autentico nel momento in cui invita il partecipante a sviluppare le proprie e non si nasconde dietro una maschera professionale o un atteggiamento di “neutrale” oggettività, anzi è  coinvolto e partecipe in prima persona, con i propri desideri, le proprie esperienze e le proprie emozioni. Nel suo lavoro sostiene ed incoraggia il partecipante a diventare responsabile per le sue scelte e le sue decisioni, in modo che il suo spazio d’azione aumenti invece di restringersi. L’individuo, così, con il sostegno e l’incoraggiamento del counselor-conduttore, sviluppa le proprie capacità e impara a realizzare se stesso ed i suoi obiettivi, diventando consapevole sia dei

fenomeni di rigetto che di quelli di adattamento; impara in definitiva a riconoscere la differenza tra la manipolazione, da un lato, e le azioni responsabili, dall’altro. Il couselor non si occupa più di come motivare gli i partecipanti, ma stimola e cerca le loro motivazioni e coinvolgimenti e da questi parte, riparte dal piacere d’imparare che è innato in ogni essere umano.

 Il costruttivismo può chiarire meglio ciò che intendo: da punto di vista costruttivista, infatti, l’uomo è –  compulsivamente/coattivamente – libero, e l’apprendimento è un processo costruttivo attivo dell’individuo che ha luogo in un sistema autopoietico e autoreferenziale, ossia nel suo cervello. Nel corso dell’apprendimento il cervello elabora le proprie soggettive realtà in un processo auto- organizzato  .

Se la conoscenza, sempre da un punto di vista costruttivista, è legata al contesto e all’attività dell’individuo, non esiste un modo unico e universalmente giusto per fare conoscenza, dunque non esistono procedure di conduzione fisse, meccaniche e standardizzate. L’approccio costruttivista offre piuttosto al counselor una struttura teorica da cui ricavare alcune importanti indicazioni sul senso dell’apprendere, sul cosa proporre e come farlo e su cosa è opportuno  evitare.

Bisogna, però, ridisegnare la figura professionale del docente-conduttore che smette di essere il centro dell’attenzione, per diventare un facilitatore e un garante che offre ad ogni partecipanti gli strumenti per permettergli di realizzare la propria realtà di auto-conoscenza

Così “l’istruzione non è causa dell’apprendimento, essa crea un contesto in cui l’apprendimento prende posto come fa in altri contesti” (Wenger, 1998, p. 266), quali la famiglia o il gruppo dei pari.

Non è il counselor-conduttore a determinare meccanicamente l’apprendimento dell’autoconoscenza, ma questo è un processo continuo e pervasivo, in cui la guida e il sostegno attraverso l’insegnamento di alcune nozioni teoriche si pone come una delle tante risorse possibili. Ciò significa dare priorità all’apprendimento rispetto all’insegnamento di sterili teorie epistemologiche; guardare all’insegnamento come un’eventuale mappa come offerta e riconoscere che l’apprendimento è una costruzione individuale del partecipante, ovvero del vero territorio.

Tale costruzione diventa prioritaria rispetto al moralismo dell’istruzione e dell’informazione.

In altre parole, presupposto perché couselor-conduttore possa svolgere efficacemente e consapevolmente la sua funzione, è il riconoscimento da parte sua dell’illusorietà di un rapporto diretto e causale tra insegnamento e apprendimento, che diventa una risposta, possibile ma non predeterminabile e pianificabile, alle finalità di apprendimento del  setting che il counselor-conduttore stesso ha predisposto. Infatti, ciò che il couselor-conduttore dice e propone, viene sempre e comunque interpretato dal partecipante e le interpretazioni quasi mai coincidono con quello che si voleva trasmettere, in quanto il significato viene ricostruito a partire dalle conoscenze pregresse e dagli scopi personali.

 In quest’ottica la lezione tradizionale lascia spazio al seminario esperienziale ovvero alla possibilità, per chi apprende, di fare esperienza diretta, manipolando gli oggetti di informazione e costruendone di nuovi,  utilizzando e decostruendo liberamente.

E’ importante avere la consapevolezza e assumersi la responsabilità del fatto che qualsiasi cosa si percepisce è, come abbiamo visto, influenzata e resa   possibile dall’intenzionalità del soggetto, ossia dipende da una sua costruzione interna, dunque diventa occasione e non causa di apprendimento.

E’ infatti frequente che, durante un seminario esperienziale o un’attività di osservazione, i partecipanti  non sappiano letteralmente cosa guardare; ciò che per il counselor-conduttore è della massima evidenza, resta per i partecipanti confuso in uno sfondo di stimoli che potrebbero avere tutti la stessa importanza.

Tuttavia, ogni essere umano non è mai privo di idee o di spiegazioni sui diversi argomenti che affronta per esempio a scuola. Al contrario, ognuno sviluppa precocemente personali “teorie ingenue” sulla realtà, utiliz zate come  cornici interpretative, come modelli di spiegazione validi fino a che non saranno smentiti; sono questi modelli mentali fortemente strutturati e che si modificano a fatica. L’apprendimento per esperienza allora, diventa un processo di graduale modificazione e ristrutturazione di tali schemi rappresentativi, e delle strutture cognitive che si rivelano  inadeguate alle nuove situazioni. Il counselor-conduttore fornisce, rispettando sempre il campo di coscienza del partecipante, assistenza e facilitazione nella rielaborazione dell’esperienza individuale che resta, comunque, responsabilità del partecipante.

Le teorie ingenue hanno infatti quasi sempre qualcosa di valido e di egoicamente funzionale nel quotidiano; per economicità cognitiva sono difficili da sostituire con quelle fornite da esperti nella relazione fenomenologica e di cui non è altrettanto evidente la viabilità; è quindi necessario porre i partecipanti in condizione di scoprire liberamente dove la teoria ingenua è a lui disfunzionale e dove è necessario modificarla e integrarla alle conoscenze pregresse.

DINAMICA DI GRUPPO COME METODO DI AZIONE- IL SENSO DEL LAVORO DI GRUPPO

Gruppo-Persone

DINAMICA DI GRUPPO COME METODO DI AZIONE

Fu LEWIN a gettare le basi della  dinamica di gruppo studiando i processi del mutamento di opinione e  i “climi sperimentali”  e con la messa a punto del “metodo dei casi” sfruttando la riunione-discussione in piccoli gruppi: la ricerca tutti insieme della problematica del “caso”, per effetto della partecipazione e delle interazioni, giungeva non solo a una migliore acquisizione di conoscenze ma anche a una modificazione degli atteggiamenti personali nei partecipanti, nel senso di una maggiore obiettività e di una migliore socializzazione, capacità di comunicare e di cooperare con gli altri.

Il valore terapeutico della partecipazione a dei gruppi era stato già messo in luce agli inizi del XX secolo da Moreno: nell’interpretazione dei ruoli e nello psicodramma (gruppi di espressione) il mutamento personale, inteso come maggiore adattabilità, era ottenuto sia attraverso la dissoluzione di atteggiamenti personali stereotipati (carattere, copione, personaggio) legati ad una falsa percezione del sé, degli altri e delle relazioni interpersonali, sia attraverso lo svilupparsi di una nuova spontaneità.

RAGIONANDO DEL GRUPPO

Nell’estate del 1946 a New Britain, durante una sessione che mirava a valutare ipotesi riguardanti i comportamenti e i mutamenti di comportamento (tre gruppi di dieci partecipanti più gli animatori ufficiali del gruppo e gli osservatori), per puro caso, durante una riunione con animatori e osservatori, abitanti in loco chiesero di poter partecipare come osservatori volontari, con l’approvazione di Kurt Lewin.

L’effetto dei partecipanti del sentire la descrizione dei loro comportamenti da parte degli animatori e le relazioni degli osservatori volontari (sollecitate anche stavolta da Lewin), fu elettrico, tanto che le prime sedute dopo il fatto si prolungarono fino a giungere a tre ore: i membri di un gruppo, quando vengono obiettivamente messi a confronto con dei dati riguardanti il loro comportamento e i suoi effetti … possono completare in modo assolutamente significativo la loro informazione sulla conoscenza di sé, sugli atteggiamenti di risposta degli altri nei loro confronti, sul comportamento del gruppo e sullo sviluppo dei gruppi in generale (LEWIN 1946).

Nacque allora l’idea dell’analisi del qui e ora che riguarda i comportamenti del gruppo. Concentrarsi sull’hic et nunc significa sostenere i partecipanti a riflettere sui loro comportamenti effettivi nel quadro dell’attuale esperienza comune; il qui e ora è dunque l’esperienza in ciò che essa ha di fatto, di vissuto, di diretto, di non concettualizzato.

L’applicazione del qui e ora costringe senza costringere a distogliere l’attenzione dagli oggetti abituali capovolgendo le abitudini della riflessione – esiste una sorta di disgelo, di non condizionamento; costringe a rendersi conto della distanza tra il reale da una  parte e l’idea, il concetto, che c’è dall’altra; induce a rendersi conto dell’importanza della retroazione, o feedback, ossia il ritorno a noi del nostro messaggio e delle sue conseguenze – “se voglio fare lo spiritoso e gli altri vedono il mio comportamento come un’espressione di aggressività, devo considerare il mio modo di scherzare come una forma di aggressività”

Il gruppo in tal senso realizza le condizioni per un nuovo tirocinio, qualunque esso sia, per il raggiungimento di un obiettivo fenomenologico e pedagogico rivoluzionario quale IMPARARE AD IMPARARE: non insegnare autoritariamente qualcosa o ricevere passivamente delle conoscenze.

MUTAMENTO PERSONALE E SOCIALE

La dinamica dei gruppi cerca di operare un mutamento degli individui  soggettivo e sostenibile in vista di una maggiore ad attività – se ci soffermiamo a pensarci, nella nostra vita l’attività di adattamento realista è bloccata così come la possibilità di vera comunicazione. Abbiamo “categorie” a priori di giudicare, di pensare, di sentire che distorcono e impoveriscono la percezione del presente e condannano il soggetto, a sua insaputa, a vivere una RIPETIZIONE PERMANENTE (IL COPIONE; IL PERSONAGGIO) Ciò fa sì che il reale sia sostituito con le idee  che il soggetto si è fatto. Porre il soggetto in una situazione tale da rendere possibile una sua presa di coscienza è il principio comune della cura psicoanalitica e del gruppo come applicazione della dinamica dei gruppi.

La dinamica di gruppo parte da una concezione nuova della personalità andando al di là della persona come soggetto isolato, rifiutandosi di considerare l’individuo al di fuori del gruppo e quindi considerandolo sempre come soggetto nel mondo – la personalità si sviluppa nel gruppo, nei rapporti con gli altri. In tal senso la dinamica di gruppo è portata a contemplare la possibilità di estendere il mutamento a tutta la società. Nel parlare dei processi di mutamento al livello individuale e al livello delle organizzazioni sociali, bisogna anzitutto menzionare la presa di coscienza, intesa come:

  • confronto tra le nostre categorie di pensiero e i nostri atteggiamenti e la nostra esperienza in ciò che essa ha di immediato, constatato, al livello della vita personale vissuta;
  • constatazione di ciò che può esservi di disfunzionale, nelle nostre categorie e nei nostri atteggiamenti a priori;
  • delucidazione di queste categorie, loro presa di coscienza così come quella degli atteggiamenti e sviluppo della riflessione – rendersi conto di qualcosa di cui fino ad allora non ci si era accorti provoca un immediato mutamento di significati e atteggiamenti aprendo a nuovi orizzonti di senso
  • la scoperta del reale “nuovo”, liberato dalla sua concettualizzazione automatica, a priori e cronica, che ci impediva la percezione al presente (percezione “ingenua e automatica”);
  • il mutamento di orientamento della coscienza che, libera dalla schiavitù del passato può, grazie al presente ritrovato, pensare al futuro.

Questa presa di coscienza avviene nel gruppo e, in particolare, proprio dall’essere – in – gruppo:

I fattori psicologici del mutamento provengono dalla scoperta negli altri di atteggiamenti sociali diversi dai nostri, di cui non avevamo idea o ritenevamo impossibili; dalla scoperta dell’altro come tale, con i suoi problemi soggettivi reali come i nostri ma diversi; dalla scoperta degli scambi e delle idee che essi possono far sorgere; dalla scoperta dell’immagine di sé vista dagli altri, cosa che determina una nuova coscienza di sé; dalla scoperta che si può cooperare senza dover per forza raccontare la nostra vita.

I fattori sociologici del mutamento provengono dal gruppo che esercita tre tipi di influenza: l’influenza delle interazioni; l’influenza della pressione del gruppo – che si esercita nel senso di una integrazione dei suoi membri e che traduce l’esigenza di partecipazione e di co-responsabilità; l’influenza  dei ruoli e del tirocinio del mutamento di ruolo.

Ovviamente avremo precise direzioni e ripercussioni del mutamento che possiamo ritrovare al “livello dell’Io”, al livello del “ruolo sociale” e al livello delle “organizzazioni sociali”.

Livello dell’Io:

1)         aumento della consapevolezza dei nostri sentimenti e delle nostre reazioni;

2)         aumento della consapevolezza dei sentimenti e delle reazioni degli altri e loro effetti su noi;

3)         mutamento di atteggiamenti verso se stessi, verso gli latri, verso il gruppo come tale;

4)         miglioramento del proprio savoir faire nelle relazioni umane, in vista di stabilire relazioni più efficaci e soddisfacenti.

Livello del ruolo sociale:

1)         maggiore consapevolezza del nostro ruolo sociale e della nostra responsabilità nei processi di mutamento a livello personale, di gruppo e dell’organismo sociale in generale;

2)        mutamento di atteggiamento verso il nostro ruolo, il ruolo degli altri, le relazioni sociali nell’ambito del nostro organismo socio-professionale – per una migliore collaborazione;

3)         mutamento di atteggiamento nel metabolizzare ed affrontare le relazioni funzionali con superiori, subordinati, ecc. – dunque, in generale, miglioramento del saper fare.

Livello delle organizzazioni sociali.

1)         maggiore consapevolezza del valore della dinamica dei gruppi;

2)         maggiore consapevolezza dei problemi di organizzazione negli organismi sociali in generale;

3)         mutamento di atteggiamento nell’affrontare i problemi di organizzazione e miglioramento del proprio “saper fare” nella risoluzione di tali problemi dopo aver imparato a “saper essere”

4)         miglioramento dell’efficacia degli organismi sociali ad opera dei piccoli gruppi in seno a tali organismi.

Da quanto sopra espresso, tre sono i valori che emergono della dinamica dei gruppi:

CONOSCENZA,LIBERTA’, RISPETTO DI SE STESSI E DEGLI ALTRI